Il trascendente nel cinema
Ozu, Bresson, Dreyer
Edizione italiana a cura di Gabriele Pedullà. Traduzione di Christian Raimo
Se davvero il cinema, come ha scritto André Bazin, è condannato alla riproduzione mimetica del mondo fisico dall' «effetto di realtà» del medium fotografico, in che modo sarà possibile rappresentare sul grande schermo il trascendente? Da Griffith a DeMille, la risposta di Hollywood è stata relativamente semplice: servendosi degli effetti speciali. Alla fine degli anni sessanta, però, un giovane studente dell'Ucla appena uscito dal seminario prova a ripensare la questione interrogando i grandi maestri del cinema europeo e giapponese, specialmente Ozu, Bresson e Dreyer. Ne è venuta fuori prima una brillante tesi di dottorato e poi, nel 1972, questo libro, Il trascendente nel cinema, uno dei pochi classici indiscussi della riflessione contemporanea sull'estetica del film. Se poi il giovane dottorando si chiama Paul Schrader - futuro sceneggiatore per Martin Scorsese di Taxi Driver e del recente Al di là della vita, nonché regista in proprio di alcuni dei più importanti film americani degli ultimi decenni - e il relatore della tesi risponde al nome di Rudolph Arnheim, la traduzione italiana di questo volume, punto di incontro tra saperi e approcci molto diversi, può essere considerata un piccolo evento. Filosofia, antropologia, religione, storia dell'arte: nessuna disciplina viene trascurata nell'indagine di Schrader, ma tutte sono chiamate a delineare una fenomenologia del sacro nell'arte, alla ricerca di uno «stile trascendentale» che accomuna opere appartenenti a tradizioni culturali non comunicanti tra loro e fa dialogare lo Zen con la Scolastica e Kandinskij con le icone bizantine. Come ha scritto Edoardo Bruno nella Nota introduttiva al volume, il libro di Paul Schrader «costituisce la riprova che il cinema è tutto nella presenza dell'immagine, nella fisicità delle emozioni, per cui il trascendente diventa l'immanente che vive nella vibrazione di un gesto, nell'esperienza di un volto, nella forza di una parola».