«Se l'apatia può aprire la strada a prevaricazioni e abusi, fino all'estremo del totalitarismo, il problema più urgente diventerà allora quello di un sistema di garanzie assai più articolato ed efficace, assai più esigente di quanto richiesto dalle liberaldemocrazie dove la politica è professione».
La politica come sfera dell'esistenza autentica, luogo esclusivo e privilegiato dove all'essere umano è dato realizzarsi in quanto tale. Il privato, al contrario, come privazione di autenticità, come ripetizione, routine: questa è la radicata convinzione che definisce la filosofia di Hannah Arendt e ne costituisce il carattere per eccellenza inattuale. Pensandola come necessità dell'esistenza autentica, sua modalità essenziale e imprescindibile, Hannah Arendt decide di porre la politica quale fondamentale diritto umano. Il totalitarismo, questo male radicale che riduce a macerie le tradizionali categorie politiche, non è perciò imputabile a un eccesso di politica bensì al suo progressivo eclissarsi. Provocazione felice e quanto mai necessaria, quella consegnataci dall'esistenzialismo libertario della Arendt, che Paolo Flores d'Arcais ripercorre e indaga in queste pagine restituendoci il senso di una critica «indigeribile», misconosciuta, travisata. Solo nella sfera politica l'uomo attinge la propria «natura», si sottrae e contrappone cioè alla natura. Solo politicamente vive fino in fondo il tratto peculiare che, entro il mondo della natura, lo qualifica come uomo. Privato della politica, l'essere umano è privato di ciò che solo a lui appartiene, la differenza, quella beninteso tra individuo e individuo, esistenza ed esistenza: «non l'Uomo - ha scritto Hannah Arendt in La vita della mente - ma uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della terra».