

«Per loro fortuna i paesi continentali che decisero di seguire l'esempio della Gran Bretagna non potevano leggere la New Economic History. Quindi non ritennero di star seguendo la strada giusta, o persino di far meglio della Gran Bretagna, e cioè che importazioni a basso costo, alta cucina e paesaggi pittoreschi potessero rappresentare una compensazione adeguata per salari e redditi più bassi».
L'interpretazione della rivoluzione industriale come di un mutamento epocale nella storia del genere umano è, per la New Economic History, un'immagine superata, paragonabile al cavallo della favola, il quale «non voleva rassegnarsi a tirare le cuoia». Nessuna rivoluzione avrebbe proiettato l'umanità in un mondo interamente nuovo, arrampicato lungo le scale di una crescita capace, per la prima volta nella storia, di autoalimentarsi sotto il versante sia tecnologico che finanziario. Ma il cavallo è vivo più che mai, scalcia e risponde. E fa valere le sue ragioni in difesa della discontinuità e contro risultati e metodi di una New Economic History che, con le sue rarefatte manipolazioni statistiche, allontana dalla reale complessità della storia e, tutta concentrata nella ricerca del fattore essenziale, irride al lavoro di quegli storici che sono «lieti di trovare più di una causa», per il semplice motivo che «una buona ragione è sufficiente, ma due sono anche meglio». Le costruzioni cliometriche volte a negare la potenza del mutamento avvenuto sono ingegnose ma temerarie: si fondano su una varietà di assunzioni teoriche, spesso implicite, che modellano - distorcono - la realtà secondo le esigenze del calcolo, combinando dati provenienti da fonti diverse, messi assieme in tempi diversi con scopi diversi; producono dati «in un contesto statico» che non considera le interazioni che hanno luogo all'interno del cambiamento. Un saggio esemplare e di rara forza persuasiva, in cui l'eccezionale erudizione e la dimestichezza disciplinare si coniugano con un gusto ora sornione ora sarcastico della controversia scientifica. Una lezione di metodo che ripercorre le tappe dell'intero dibattito storico-economico sulla rivoluzione industriale, per scaricare la propria energia polemica contro la visione cliometrica dei fatti storici e, senza accontentarsi di confutarla, ricerca le ragioni profonde del revisionismo storiografico che «vuol fare del terremoto un tremito».
David S. Landes
David S. LANDES, nato a New York nel 1924, è professore di storia ed economia all'Università di Harvard. Ha insegnato alla Colombia, a Berkeley e a Stanford, ed è uno dei maggiori studiosi della tecnologia e dello sviluppo industriale, oltre che di storia dell'impresa. Tra le sue opere tradotte in italiano vi sono testi ormai classici quali Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell'Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri (Torino 1975), Storia del tempo. L'orologio e la nascita del mondo moderno (Milano 1984), Banchieri e pascià. Finanza internazionale e imperialismo economico (Torino 1990).

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