«La Shoah non è stata il “male assoluto” di cui tanto parlano i retori del 27 gennaio. Sia il sostantivo che l’aggettivo sono scelti senza cura. il sostantivo, in quanto evoca una dimensione etica piuttosto che storica; l’aggettivo, in quanto suggerisce che la persecuzione razziale sia stata a legibus soluta, sciolta da ogni legge, quando corrispose invece a una legislazione politicamente voluta e operosamente perseguita. risultato? L’intera dinamica della Shoah viene consegnata a una dimensione astorica, o addirittura trascendente: con un vantaggio netto per gli eredi dei carnefici, e anche − in un qualche dolorosissimo modo − per gli eredi delle vittime».
La storia degli ebrei (diceva un illustre studioso di origini ebraiche) è come la gabbia del canarino in un appartamento signorile: se c’è, aggiunge qualcosa; se non c’è, non se ne avverte la mancanza. in effetti, più che fare storia degli ebrei, si ha l’abitudine di fare storia dell’antisemitismo: cioè la storia delle discriminazioni, delle persecuzioni, delle distruzioni che il popolo eletto ha subito nei duemila anni della sua diaspora. Più che fare storia di un popolo in carne e ossa, singolare e plurale, coeso e diviso, riconoscibile e inafferrabile come tutti i popoli della terra, si tende a fare storia di un popolo monolitico, granitico nello spazio quanto identico nel tempo: perennemente uguale a se stesso, e immancabilmente bersagliato. Ma rappresentato così, il popolo ebraico corrisponde fin troppo – in una forma rovesciata – allo stereotipo antisemita: il popolo eletto come sublimazione edificante del popolo maledetto. Dalla Roma di Tito all’Europa dei pogrom, dal ghetto di Venezia alle leggi razziali, dalla Soluzione finale al complotto contro Israele, il popolo ebraico diventa un metafisico tutt’uno di ashkenaziti e sefarditi, uomini e donne, poveri e ricchi, rabbini e laici, marrani e coloni, contadini e commercianti, banchieri e intellettuali, miracolosamente tenuto insieme dagli altrui vizi, e dalle proprie virtù. Sergio Luzzatto coltiva un’idea diversa degli ebrei nella storia. più che riconoscerli sempre e comunque buoni, sempre e comunque innocenti, sempre e comunque vittime, si appassiona della varietà di vicende storiche e della molteplicità di profili umani che hanno reso (e che rendono) il popolo eletto, nel bene o nel male, un popolo come gli altri. in questo libro il lettore incontra non già figurine in panpepato, caricature di storia, ma personaggi naturalmente vivi e vitali, complessi e controversi: siano rabbini taumaturghi del medioevo o soldati israeliani nei territori occupati, siano cappellai del ghetto o straccivendoli della rivoluzione.
Massimiliano Panerari, Venerdì di Repubblica, 22/11/2019
LUZZATTO, CRITICA ALL'EBRAISMO
Alfonso Berardinelli, Il Foglio, 25/10/2019
CHI VIVE DI CULTURA NON PUÒ CHE SENTIRSI UN PO' EBREO SENZA ESSERLO
Bruna Miorelli, Radio Popolare, Sabato libri, 19/10/2019
Intervista a Sergio Luzzatto
Pasquale Chessa, Il Messaggero, 29/09/2019
L'IDENTITÀ EBRAICA SECONDO CALIMANI E L'APPROCCIO VITTIMISTA DI LUZZATTO
Tommaso Munari, Domenica - Il Sole 24 Ore, 22/09/2019
IN PIENO "CONTINUUM EBRAICO"
Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 09/09/2019
IL NODO DELL'UNICITÀ EBRAICA
La fiera delle falsità
Via Rasella, le Fosse Ardeatine, la distorsione della memoria
Quale Europa
Capire, discutere, scegliere
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