

Negli anni della guerra fredda, più di seicentomila immigrati vennero schedati e sorvegliati dalla polizia segreta svizzera. Una larga maggioranza di quegli immigrati, sospettati di attività sovversive, era composta da lavoratrici e lavoratori italiani che avevano scelto la Svizzera come terra promessa. Nella Confederazione elvetica, infatti, gli emigrati italiani furono un importante segmento sociale che per molto tempo coincise con il proletariato locale. Si unirono in associazioni a sfondo politico come le Colonie libere, a sfondo religioso come le Missioni cattoliche, ma fecero anche parte di semplici realtà aggregative, sportive, per il tempo libero, spesso organizzate su base regionale. Gli italiani diventarono presto uno dei principali problemi politici e temi di dibattito del paese, generando forti tensioni sociali dalle quali scaturirono formazioni xenofobe come l’Azione nazionale contro l’inforestierimento. Il libro intende raccontare questa storia dalle mille sfumature attraverso un ampio uso di fonti orali e di scritture di gente comune, tra cui scambi epistolari e testimonianze scolastiche dei figli di italiani, e attraverso numerosi materiali selezionati da archivi privati e pubblici. In particolare, le fonti orali consentono, da un lato, di restituire la complessità di un fenomeno migratorio prodotto al crocevia di tanti diversi vissuti e percorsi e, dall’altro, di non perdere mai il punto di vista degli stessi emigrati, per comprendere meglio le loro esperienze e le sfide quotidiane che hanno dovuto affrontare.
Enrico Pugliese, cheFare, 19/06/2019
‘Braccia, non persone’: la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera racconta lo scontro xenofobo di oggi
Alessandra Gissi, La Rivista il Mulino, 17/02/2019
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