

«Rischi di populismo e di personalizzazione della politica; difesa della legalità e rapporti tra magistratura e politica; riduzione delle tutele sociali; concentrazione delle garanzie fondamentali nella Corte costituzionale. Se si vuole indicare un tratto distintivo di questi ultimi 15 anni, si può ben dire che il conflitto intorno ai diritti si è fatto in Italia più aspro».
Diritti e libertà accompagnano la nascita del cittadino moderno, definiscono un ordine politico e simbolico interamente nuovo: essi divengono il connotato di un’età, appunto «l’età dei diritti», come l’ha definita Norberto Bobbio. La dimensione dei diritti, però, ci appare al tempo stesso fondativa e fragilissima, perennemente insidiata da restaurazioni e repressioni, tese a cancellare o limitare proprio l’insieme degli strumenti che dovrebbero garantire al cittadino le massime possibilità di sviluppo autonomo. In particolare, negli ultimi quindici anni si è assistito nel nostro paese a un processo graduale che ha portato la classe politica di centro-destra, dall’iniziale tentativo di delegittimazione, a un vero e proprio attacco frontale alla Costituzione. Con il risultato di provocare un conflitto istituzionale senza precedenti nella storia della Repubblica. In questo quadro rientrano le ripetute proposte di riforma costituzionale che vengono agitate da più parti: prive di quella visione organica necessaria a qualunque tentativo di modifica, tali proposte rischiano di alterare delicati equilibri perché non tengono in conto il fatto che «la Costituzione non può essere smembrata, tagliata a fette», e non si può pensare di intervenire anche solo sulla seconda parte senza con ciò incrinare i principi contenuti nella prima. L’esperienza del Novecento ci ha mostrato come la semplice proclamazione costituzionale di libertà e diritti possa risolversi in un inganno. Ogni riferimento a essi si presenta così non solo come l’elencazione di quel che dovrebbe caratterizzare un regime democratico; ma diviene un potente strumento per un’analisi realistica che voglia disvelare la trama effettiva dei rapporti politici e sociali in un determinato contesto storico. La ricostruzione sintetica che Rodotà qui propone vuole obbedire proprio a questa logica. Non segue e discute le idee sui diritti, ma analizza politiche e comportamenti dai quali è dipesa la loro affermazione o negazione, cercando di rendere evidenti gli intrecci tra riconoscimenti formali di libertà e diritti e condizioni materiali per la loro attuazione. Le vicende delle libertà e dei diritti mostrano la lenta inclusione di un numero crescente di cittadini nel demos e le modalità attraverso le quali si costruisce la moderna cittadinanza, nel succedersi delle diverse «generazioni» dei diritti. Ma rivelano anche tenaci resistenze all’effettività dei diritti proclamati. Serve una grande fede per affermare i diritti nei tempi difficili. E di questo la vicenda delle libertà, che è poi vicenda concretissima di donne e di uomini, è testimonianza continua.
Stefano Rodotà
Stefano Rodotà (Cosenza 1933 – Roma 2017) è stato ordinario di Diritto civile all’Università «La Sapienza» di Roma e dal 1997 al 2005 stato presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Tra le sue pubblicazioni: Repertorio di fine secolo (Laterza, 1999); Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie dell’informazione (Laterza, 2004); La vita e le regole. Tra diritto e non diritto (Feltrinelli, 2006); Perché laico (Laterza, 2010).

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