Joseph E. Stiglitz

Globalizzazione

Introduzione di Laura Pennacchi

Collana: Gli essenziali
2011, pp. 128
ISBN: 9788860365644

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Scheda libro

Il complesso fenomeno della globalizzazione, così come lo conosce il mondo attuale, è caratterizzato, nell’analisi di Joseph Stiglitz, da un clamoroso paradosso: il processo sempre più forte di interdipendenza e di integrazione delle economie del nostro tempo pone agli Stati-nazione domande nuove e ineludibili, ma al tempo stesso riduce drasticamente la loro capacità di dare una risposta compiuta a tali domande. Già un secolo e mezzo fa, quando si formarono gli Stati-nazione, i processi di riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto diedero origine a un primo significativo antecedente dell’attuale processo di globalizzazione, ma all’epoca i governi mostrarono una più alta capacità di regolare simili processi. Oggi, la globalizzazione è priva di istituzioni in grado di affrontare le sue conseguenze. Abbiamo un sistema di governance globale, ma ci manca un governo globale. Anzi, ne abbiamo uno, implicito e improprio, quello che, con forte ironia, Stiglitz chiama il «G1»: il potere, assoluto e incontrastato, degli Stati Uniti. E proprio nel momento in cui più forte che mai sarebbe la necessità di solide istituzioni internazionali, la fiducia in quelle che esistono, come il Fondo monetario e la Banca mondiale, raggiunge i livelli più bassi. Il risultato di tutto ciò è un mondo che, per essere ormai privo di rivali esterni, non è per questo meno imperfetto. Oggi abbiamo tutti ben presenti i benefici che derivano dal mercato, ma siamo anche assai consapevoli dei suoi fallimenti. Sappiamo bene che, quando l’informazione è imperfetta, i mercati non funzionano. Così come sappiamo che i meccanismi della crisi – che oggi più che mai colpisce gli equilibri economici mondiali – sono scatenati dai più forti, e finiscono per ricadere necessariamente sui più deboli. Non ci vuole molto a riconoscere che i nostri processi democratici sono ancora largamente incompiuti, e che a farne le spese sono quelle vaste parti del mondo che si affacciano oggi come nuove protagoniste, e che reclamano anch’esse un posto e un ruolo nella scena mondiale. L’obiettivo verso il quale bisogna tendere è dunque il raggiungimento di regole migliori, veramente più democratiche. In ciò la nozione di «trasparenza» è davvero fondamentale. E la democrazia in fin dei conti si rivela, agli occhi di Stiglitz, come la vera scommessa, come il tema ineludibile nell’era della globalizzazione.

Autore

Joseph E. Stiglitz
Joseph Eugene Stiglitz è nato nel 1943 a Gary (Indiana), centro nevralgico dell’industria siderurgica, a sud del lago Michigan. Come ha osservato lo stesso Stiglitz, «deve esserci qualcosa nell’aria di Gary che ti spinge a occuparti di economia: di sicuro la povertà, le discriminazioni, la disoccupazione non possono non colpire un ragazzo che comincia a farsi domande del tipo: perché accade tutto questo, e cosa si può fare per cambiare la realtà?». Assieme al contesto urbano, nella formazione di Stiglitz si rivela fondamentale la famiglia, nella quale si discute vivacemente di politica, e in particolare l’esempio del padre, piccolo imprenditore dotato di un profondo senso civico. Dopo aver frequentato le scuole pubbliche, Joseph trascorre tre anni – «la mia più importante esperienza formativa dal punto di vista intellettuale» – all’Amherst College, una piccola realtà del New England, che si distingue per il metodo, quasi «socratico», di insegnamento. Presto, tra i molteplici interessi, emerge su tutti quello per l’economia, che approfondirà nei successivi due anni trascorsi al Mit. Nel 1965-66, grazie a una borsa di studio, è in Gran Bretagna, a Cambridge; tornato negli Stati Uniti, inizia una carriera universitaria che lo porterà a insegnare nelle più prestigiose università: Mit, Yale, Stanford, Princeton, Columbia. Nel 2001 riceve il premio Nobel per l’economia – insieme a George A. Akerlof e A. Michael Spence – per le ricerche effettuate, sin dagli anni settanta, nell’ambito della teoria dell’informazione asimmetrica, da cui derivano disoccupazione e razionamento del credito. A caratterizzare lo sguardo di Stiglitz è il rifiuto dell’ortodossia, la messa in discussione di ciò che è dato come un dogma in campo economico. Tra le sue pubblicazioni, The Economic Role of the State (1989), in cui sottolinea sia gli errori dei conservatori, che ritengono sempre e comunque negativo l’intervento dello Stato, sia quelli della sinistra, che chiede sempre e comunque un maggiore coinvolgimento dello Stato; Whither Socialism (1994), in cui analizza le ragioni del fallimento economico del socialismo nell’Europa dell’Est e smaschera la presunta libertà del sistema capitalista-liberista;Globalization and Its Discontents (2002), che esamina gli errori delle istituzioni economiche internazionali – in particolare del Fondo monetario internazionale – nella gestione delle crisi finanziarie degli anni novanta. Oltre che svolgere la sua intensa attività accademica e di ricerca, Stiglitz ha ricoperto importanti incarichi istituzionali: presidente dei consiglieri economici (1995-97) nell’amministrazione Clinton e vicepresidente e capo del dipartimento di ricerca economica (1997-2000) nella Banca mondiale. Dal 2003 è membro della Pontificia accademia delle scienze sociali; dal 2005 presiede il Brooks World Poverty Institute, dell’Università di Manchester.