L'Italia in cammino
Introduzione di Salvatore Lupo
Due libri fondamentali segnano, tra il 1927 e il 1928, l’avvio della discussione storica sui caratteri dell’Italia post-unitaria: la Storia d’Italia dal 1871 al 1915, di Benedetto Croce, e L’Italia in cammino di Gioacchino Volpe. Libri caratterizzati – nota Salvatore Lupo – da un’esplicita contrapposizione, ma anche da un’evidente somiglianza. All’indomani del definitivo avvento del regime fascista, si tratta, per i due grandi storici, di fare i conti con l’Italia liberale. E se per Croce quell’operazione ha il senso di magnificare le sorti di una fase complessivamente virtuosa (messa a repentaglio dall’avvento di un regime illiberale e totalitario), per Volpe si tratta di individuare i caratteri di un vischioso processo storico in corso. Processo che, dopo la costruzione dello Stato, gli appare per l’appunto in cammino, in via di realizzazione. Rispetto a questo cammino, l’Italia liberale si presenta agli occhi di Volpe come un periodo cruciale e contraddittorio, in cui le spinte all’unificazione effettiva del paese si scontrarono con le resistenze di quello che egli considera il dato originario e persistente di tutta la storia italiana: la tendenza alla frantumazione. Questa eredità secolare, che ha caratterizzato anche i momenti più vitali (per esempio il medioevo), ha sortito come effetto una borghesia debole e dispersa, che tocca ora al nuovo Stato saper fondere in una classe dirigente nazionale. La tesi di Volpe ha significati che vanno oltre il clima storico-politico che la originò. Essa insiste su un insieme di domande che sono tuttora di fortissima attualità. Quali sono gli elementi persistenti che costituiscono un ostacolo alla creazione di una classe dirigente stabile ed efficiente? Quale significato può essere attribuito al lungo cammino dell’Italia, non più a cinquanta ma a centocinquanta anni dalla sua fondazione?
Il cammino verso la modernità. Il Risorgimento secondo Volpe