Più ancora che comprare e vendere, risparmiare e investire sono atti economici fondamentali in un sistema, quale il moderno capitalismo, che si vuole orientato alla crescita continua. Il connubio fra risparmio e investimento appare come la forza propulsiva del sistema capitalistico. In esso sembrano riconciliarsi principi morali e interessi economici: quanto più gli individui esercitano la virtù della previdenza, tanto più la collettività ne trae i benefici del progresso e della prosperità. Sulla presunta equivalenza fra risparmi e investimenti si è costruito il supporto ideologico e dottrinale a favore del capitalismo. Tuttavia, tale equivalenza non può essere data per scontata. La sua realizzazione dipende dall’intermediazione della finanza, cui è affidato il compito di raccogliere il denaro risparmiato e di renderlo disponibile per i progetti d’investimento più promettenti. Ora, però, l’attuale configurazione della moneta e del credito è tale da mettere continuamente a repentaglio il legame fra risparmio e investimento. Infatti, dato il suo carattere di riserva, la moneta può essere risparmiata indefinitamente senza essere investita. E, d’altro canto, le banche e le borse finanziano gli investimenti attraverso debiti, il cui pagamento può essere indefinitamente procrastinato. Così, oscillando fra la possibilità che la moneta non venga mai spesa e che i debiti non siano mai pagati, il sistema finanziario diventa sì fonte di una crescita potenzialmente illimitata,ma anche di uno squilibrio che si manifesta in una cronica alternanza di espansione e crisi, di euforia e depressione. Vivendo negli anni fra le due guerre, funestati da violente fluttuazioni dell’economia, Keynes dedicò tutte le sue energie a identificarne le cause più profonde e a escogitare possibili soluzioni. La sua diagnosi resta attuale: oggi, come allora, facciamo i conti con un cronico eccesso dell’offerta sulla domanda e dei risparmi sugli investimenti. Ma, dopo che per oltre mezzo secolo si è cercato di colmare il divario con la spesa pubblica, sarebbe bene fermarsi a considerare i rimedi più radicali da lui propugnati: non politiche espansive, bensì riforme istituzionali con l’obiettivo di togliere alla moneta la funzione di riserva e di liberare così gli uomini dall’idea che, in economia come nella vita, si possa risparmiare trattenendo. I testi qui raccolti sono stati composti nell’arco di un ventennio, dal 1923 al 1943. Il loro carattere assai vario, che va dagli scritti scientifici e giornalistici ai discorsi radiofonici e parlamentari, mostra la pervicacia con cui Keynes tentò di contribuire a ripensare la finanza. Una domanda di fondo ispira in sordina il suo intero lavoro: cosa significa davvero risparmiare?
John Maynard Keynes
John Maynard Keynes nacque nel 1883 a Cambridge, nell’Inghilterra della regina Vittoria, centro politico e finanziario di un mondo che sembrava avviato stabilmente verso il progresso e la prosperità, l’integrazione e la pace. Di famiglia borghese, frequentò la prestigiosa scuola di Eton, per poi tornare a Cambridge a studiare logica e matematica, prima ancora che economia. La sua tesi, più tardi pubblicata con il titolo di Trattato sulla probabilità (1921), lo portò a riconoscere i limiti del calcolo statistico e il regime di fondamentale incertezza in cui siamo costretti a prendere le decisioni. L’imponderabile irruppe con violenza allo scoppio della Grande guerra. Da poco funzionario del Tesoro, Keynes si trovò a lavorare «per un governo che disprezzo ai fini di una causa che reputo criminale». Partecipò come delegato inglese alla Conferenza di Versailles, ma si dimise, denunciando che lo spirito di rivalsa e l’insipienza economica dei vincitori avrebbero imposto al mondo intero una pace ancor più devastante della guerra. Il saggio su Le conseguenze economiche della pace (1919) lo consegnò alla notorietà e a un destino di profeta inascoltato. Tornato a Cambridge come fellow del King’s College, dedicò lo studio e l’insegnamento ai problemi economici dell’instabilità e della depressione. Individuò nei difetti costitutivi del sistema monetario il principale fattore di squilibrio, e concentrò su di esso tutte le sue opere scientifiche, da La riforma monetaria (1923) al Trattato sulla moneta (1930) fino alla Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936). Affidò le sue raccomandazioni anche a numerosi articoli, conferenze e pamphlet, alcuni dei quali sono raccolti in Esortazioni e profezie (1932). La speculazione teorica non fu per Keynes mai disgiunta dall’esperienza pratica e dall’impegno politico. Era convinto che i problemi economici dovessero e potessero essere risolti, affinché l’uomo si dedicasse appieno al suo vero compito, di essere libero e vivere bene. Sposò la ballerina russa Lydia Lopokova, e fu legato al gruppo artistico e letterario di Bloomsbury. I venti di guerra lo riportarono in prima linea, a ridisegnare le istituzioni economiche dalle fondamenta. Elaborò per conto del governo inglese il piano della Clearing Union, con l’obiettivo di favorire il commercio fra le nazioni. Dopo due anni di estenuanti negoziati con gli americani, la proposta fu tradita dagli accordi di Bretton Woods. Keynes fu logorato dalla battaglia diplomatica e dal presagio che, per la seconda volta, i suoi sforzi non sarebbero bastati a instaurare un’economia per la pace. Morì d’infarto il giorno di Pasqua del 1946.

La nuova frontiera
Scritti e discorsi (1958-1963)