

Negli ultimi anni si è affermato con forza il «teorema sul Mezzogiorno»: tante risorse, tutte sprecate; classi dirigenti inadeguate; carenza di «capitale sociale». Da qui, una convinzione: meno risorse arrivano al Mezzogiorno, meglio è. E da questa convinzione trae origine un’azione del governo Berlusconi che, per la prima volta nella storia repubblicana, ha operato un colossale taglio dei trasferimenti al Sud, eliminando qualsiasi politica di sviluppo. Ma la cancellazione della questione meridionale è la cartina di tornasole dell’incapacità della politica italiana di pensare al futuro dell’intero paese, di valorizzare il lavoro e i talenti di tanti giovani e di tante donne che sono fuori dal mercato del lavoro. Sull’altro fronte, il centrosinistra non sembra avere una strategia alternativa. Eppure, proprio a partire dalle aree del paese più in difficoltà, la sinistra potrebbe provare a ripensare se stessa e a darsi obiettivi ben più ambiziosi. Ripensare all’universalismo dei servizi pubblici pur in presenza di risorse più scarse che in passato; mirare le strategie dello sviluppo sull’economia della conoscenza, a partire dalla scuola; puntare all’inclusione di tutti i cittadini, a partire da un welfare diverso; disegnare un moderno decentramento, con grandi reti nazionali di intervento, politiche di sviluppo basate su percorsi differenziati e guidati da classi dirigenti locali, meccanismi di controllo e responsabilità. Il Sud, fuori dall’intollerabile banalizzazione del dibattito corrente, potrebbe insomma diventare il grande laboratorio per costruire contenuti e strumenti di un programma riformatore per la sinistra italiana.

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