Tra le cittadine costiere dell’Adriatico, Termoli emerge storicamente con una propria fisionomia molto marcata. Coerentemente con la morfologia del luogo – un promontorio che da tre lati si erge a picco sul mare – il borgo medievale si è sviluppato come centro fortificato e marinaresco, pienamente partecipe di tutte le grandi contese tra le compagini statuali e le signorie feudali del Mezzogiorno. Ma fin dagli albori dello scorso millennio, grazie sempre alla sua posizione geografica, è stato anche attraversato da flussi mercantili di medio-ampio raggio (e movimenti di idee), tanto in senso orizzontale che verticale, sui quali è potuta crescere un’economia – e anche la comunità nel suo insieme – tutt’altro che stantia. Soprattutto in età moderna a Termoli si afferma una proto borghesia cittadina, specie nel commercio e nelle professioni, dinamica e operosa, le cui intraprese, pur in un quadro di lunghe permanenze, si proiettano ben oltre l’ambito locale. In età contemporanea, Termoli si segnala soprattutto per il suo protagonismo nella «grande trasformazione» che investe il nostro paese nella seconda metà del Novecento. Sfruttando abilmente le opportunità dell’intervento straordinario, specie nella prospettiva industriale, vi si innescano meccanismi virtuosi di sviluppo che ne fanno senz’altro un «localismo» di successo. La plurisecolare parabola di questo centro costiero per molti aspetti costituisce dunque uno spaccato emblematico della storia meridionale. Ma nella ricostruzione che ne forniscono i tre autori essa presenta anche tratti di originalità e differenziazione che inducono – se non proprio a revisionare – quanto meno ad approfondire i consueti schemi interpretativi di cui si alimenta il dibattito storiografico sul Molise e più in generale sul Mezzogiorno.