

«L’ultimo accelerato partiva poco prima dell’una di notte e arrivava a Voghera, se tutto andava bene, alle due e un quarto. Una notte d’estate si bloccò alla prima stazione. Faceva un caldo orrendo, denso, umido, appiccicoso. Il caldo di quella pozza chiamata Milano.Aprii il finestrino. Fui colpito da una zaffata pesante: tanfo di formaggi inaciditi, di maiali, cataste di merda di maiali. Il silenzio spesso della notte era rotto a tratti dal gracidio delle rane acquattate nelle risaie allagate, un coro assordante. Sembravano milioni. In una pausa si levò, inattesa, la voce squillante di un pendolare notturno come me, il quale annunciò stentoreo: “Siamo arrivati al paese dei balocchi!”».
Una densa, vivace autobiografia, anzi molto di più. Vittorio Emiliani racconta la storia di un gruppo di amici padani che, negli anni cinquanta, si impegnano in politica, creano un settimanale per rimuovere, da riformisti, a volte giacobini, le ingessature della società. Lo scenario è al centro del triangolo industriale: Voghera, «capitalina» di frontiera dell’Oltrepò, in cui già emerge lo scrittore Alberto Arbasino, Pavia, nordica e universitaria, ricca di talenti e di baroni, e la Milano del primo boom economico, unica città «europea» di quell’Italia semirurale in tumultuoso cambiamento, che si mette in scena fra il Piccolo Teatro e la Scala degli anni d’oro, le case editrici, la novità del «Giorno», riviste come «Comunità», i circoli culturali, Brera, il Giamaica. Una narrazione veloce, diretta, che però fa luce anche su squilibri ed esclusioni crudeli. I protagonisti sembrano a volte cugini dei vitelloni felliniani, impegnati tuttavia a battersi per città più moderne e avanzate, per atenei non più classisti, per un paese fuori dall’autarchia provinciale. In questa folgorante foto di gruppo compaiono anche sorelle e fratelli maggiori: Camilla e Antonio Cederna, Paolo Grassi, Italo Pietra, Elio Vittorini, Renzo Zorzi, Arrigo Benedetti, Eugenio Scalfari, Ugo Mulas, Nazareno Fabbretti e tanti altri, aperti e protettivi. Ci sono le goliardate, gli scherzi beffardi della provincia e le polemiche accese di una politica viva e vissuta. Nelle associazioni universitarie e nei partiti. Oltre mezzo secolo dopo, cosa resta di quelle esperienze, soprattutto di quel contesto? Nella postfazione Emiliani tira le somme di una generazione. Un bilancio a volte amaro, mai però sfiduciato.
Vittorio Emiliani
Vittorio Emiliani, entrato nel giornalismo negli anni cinquanta con «Il Mondo» di Pannunzio e «L’Espresso» di Benedetti, ha lavorato al «Giorno» dal 1960 al 1974 e in seguito al «Messaggero», di cui è stato direttore tra il 1979 e il 1987. Autore di inchieste, editorialista, consigliere della Rai, ha pubblicato numerosi libri di denuncia, memoria e politica.

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