

La civiltà occidentale attribuisce alla guerra il potere di generare le forme della politica, i valori della società, la materia dell’arte, di decidere la storia individuale e collettiva. Lo studio delle narrazioni belliche insegna che quest’idea deriva dal paradigma culturale in cui si coniugano guerra e visione. In conformità all’archetipo eroico, che prescriveva al guerriero di distinguersi entro la mischia in un duello a singolar tenzone, poi eternato dal canto del poeta, l’Occidente per millenni pensa la battaglia come evento fatidico, momento della verità in cui le controversie si decidono irrevocabilmente, gli individui mostrano il proprio valore, le identità dei contendenti si definiscono reciprocamente e, soprattutto, la vicenda umana trova il proprio senso entrando a far parte di un racconto memorabile. A questo modo, la visibilità fornisce alla guerra sia il criterio della sua rappresentazione, sia quello della sua motivazione, conduzione e legittimazione. Esaminando lo sviluppo storico del paradigma guerra/visione – il suo istituirsi nell’epica antica, la sua fase di crisi nella modernità romanzesca, il suo infrangersi nell’età della televisione – arriviamo a comprendere la nostra tragica attualità, nella quale l’ideale della «visione di guerra», pur servendo ancora le retoriche del potere, viene tradito proprio dalla sua realizzazione tecnica, lasciandoci attoniti di fronte a un’apocalisse svuotata di qualsiasi rivelazione. Finalista al Premio Viareggio nel 2003, il libro si arricchisce di una postfazione in cui Scurati riflette sulla trasvalutazione delle rappresentazioni occidentali della guerra dopo l’11 settembre. A partire da quella data, l’immaginario collettivo bellico, fondato su una «perversa forma di falsa coscienza», fa della guerra addirittura una rappresentazione rassicurante, contrapposta alla «nuova forma di violenza illimitata, prebellica, o postbellica che prende il nome di terrorismo»
Antonio Scurati
Antonio Scurati insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo presso l’Università di Bergamo, dove coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Con il romanzo Il sopravvissuto (Bompiani, 2005) ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello. Nel 2006 è stato pubblicato il saggio La letteratura dell’inesperienza e, in una nuova edizione, il suo romanzo d’esordio, Il rumore sordo della battaglia (entrambi per Bompiani).

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