
Collana: Saggi. Storia e scienze sociali
2007, pp. X - 262, rilegato
ISBN: 9788860361059
€ 25,00 € 23,75
Cosa fu il radicalismo fascista? Quale il ruolo che Mussolini intendeva cedergli nelle diverse fasi del ventennio? Il libro di Matteo Di Figlia tenta di rispondere a tali interrogativi concentrandosi sulla figura chiave di tutto l’intransigentismo, Roberto Farinacci, che sino alla fine degli anni trenta impersonò la figura del leader fascista in una versione diversa da quella di Mussolini, in modo persino contraddittorio rispetto a essa. Prima ras di Cremona, poi capace organizzatore di uno squadrismo interprovinciale, guidò la riscossa fascista che neutralizzò le reazioni all’omicidio Matteotti. Ottenuta in questo modo la guida della segreteria generale del Pnf, fu in grado di esercitare un forte ascendente sia sul partito che sulla vasta corrente radicale, assumendo così troppo potere per non destare la diffidenza del duce. Per questo venne ostracizzato, messo all’indice, spiato dalla stessa polizia politica fascista. Eppure, Mussolini non se ne liberò mai. Anzi, pur sapendo delle paradossali trame affaristiche del ras, con cui facilmente si sarebbe potuta costruire una «questione morale», rifiutò sempre di sacrificare il capo della corrente radicale. Con la svolta filonazista e antisemita del 1936, Farinacci tornò in auge. Fu in quegli anni che la sua tensione verso una lotta perenne e maniacale contro ogni forma di «afascismo» si dimostrò intrinseca al tessuto connettivo del regime. Questo volume, opera di un giovane studioso, offre un contributo innovativo alla riflessione sulla figura di Farinacci, partendo «non solo da una ricerca documentaria di prima qualità, ma da una visione fresca, da un’introiezione del mutare dei tempi e delle prospettive storiografiche», come scrive Salvatore Lupo. Al di fuori delle usuali coordinate interpretative, Di Figlia ricostruisce una vicenda politica esemplare, sospesa tra la retorica del purismo rivoluzionario e il progressivo consolidarsi di reti clientelari.
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