

«C’è qualcosa di mitologico nell’immagine del poliziotto col ginocchio piantato sul collo di George Floyd: san Giorgio che calpesta il drago sconfitto, la divinità purissima che schiaccia il serpente, il cacciatore bianco sull’elefante ucciso in safari. Sono figure della vittoria della virtù sulla bestia, della civiltà sul mondo selvaggio… E del bianco sul nero. Ma in questa immagine il senso si capovolge: l’animale è quello che sta sopra e calpesta, e la vittima calpestata è quella che invoca il più umano e insieme il più simbolico dei diritti: il respiro».
L’assassinio di George Floyd, afroamericano ucciso da un poliziotto bianco durante l’arresto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, ha scoperchiato l’intreccio di contraddizioni e ingiustizie del nostro tempo. A protestare sono scesi in piazza non solo i suoi fratelli e le sue sorelle afroamericani, ma anche bianchi, ispanici, uomini e donne, soprattutto giovani, che sentono sul collo il ginocchio mortale delle crescenti diseguaglianze. L’impressionante e ininterrotta sequenza di brutali violenze di stato da parte della polizia contro gli afroamericani continua ad accompagnare, come un sottofondo inquietante, la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, e le immagini delle rivolte sono ormai sempre più sotto i nostri increduli occhi di cittadini europei. In questo libro Alessandro Portelli, con la sua capacità di intrecciare con straordinaria fluidità racconto storico e immaginari letterari, simbolici e musicali, ripercorre le vicende che hanno portato a quella scena, dalle ribellioni che l’hanno seguita agli eventi che l’hanno preparata nell’ultimo decennio, alla memoria di alcune grandi rivolte della storia afroamericana, mostrando come questa morte sia l’ultimo episodio di una vicenda secolare, lungamente inascoltata fino a che le vittime non hanno imposto la loro presenza, la loro voce, i loro corpi. Ma non mancano riferimenti alla realtà italiana perché la violenza di stato riguarda anche noi, basti pensare ai casi Cucchi e Aldrovandi, così come le icone del potere di tutti i tempi che prendono corpo nelle statue dei generali sudisti negli Usa come, nel nostro paese, nei monumenti fascisti sono apparentemente mute testimonianze di un passato inglorioso di razzismi, schiavizzazioni e dominazioni. La cosiddetta «furia iconoclasta» che si accanisce sui marmi racconta di una realtà in cui ci si accanisce sui corpi, e non di marmo: «la distruzione di tanti meravigliosi giovani, vere e incomparabili statue policrome», è anch’essa un vandalismo, per dirla con Proust. Quelle icone continuano a celebrare e a mettere sotto i nostri occhi una storia che diventa presente ogniqualvolta la polizia uccide o spara alle spalle a un nero come se niente fosse. Riecheggiano qui le parole di Huckleberry Finn che Portelli cita in apertura del libro: «S’è fatto male qualcuno?». «Nossignora, è morto un negro». Perché anche per il senso comune di oggi le vite dei neri contano poco, o niente.
Giuseppe Costigliola, Pulp libri, 06/02/2021
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Giuseppe Costigliola, Pulp libri, 06/02/2021
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I CORPI FUORI POSTO DA SCHIACCIARE COME SERPENTI I CORPI FUORI POSTO DA SCHIACCIARE COME SERPENTI
Furio Colombo, Il Fatto quotidiano, 16/11/2020
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, Il Manifesto, 05/11/2020
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