I vampiri (1957) di Riccardo Freda e Mario Bava è comunemente ritenuto il primo horror italiano. Lo stupore dei critici, lo scarso successo di pubblico, l’ambientazione parigina sembravano palesare l’horror come un corpo estraneo al nostro cinema nazionale. I film del terrore italiani andranno così in giro per il mondo sconfessando i propri natali, camuffandosi sotto etichette e pseudonimi posticci, portatori – loro malgrado – di un retaggio culturale che sembrava escludere a priori l’orrore dal nostro paesaggio e immaginario. L’horror nazionale si manifesta in concomitanza con una più ampia affermazione dell’horror a livello europeo, al cui interno il cosiddetto «gotico all’italiana» opera per imitazione di modelli stranieri, ma si dimostra anche capace di rielaborarli con originalità, attingendo alle strutture simboliche del melodramma e intessendo relazioni con altri generi. Dall’inizio degli anni sessanta l’horror italiano circola, si espande, rende difficile se non improduttivo mantenere il cinema separato da una più ampia dimensione mediale e di dialogo intertestuale (letteratura, fumetti, cineromanzi) e conservare distinzioni tra cultura alta e bassa. Esaurito il filone gotico, l’horror italiano non scomparirà, anzi maturerà per tutti gli anni settanta e fino alla metà degli ottanta, affermandosi come una delle cinematografie più originali, influenti ed estreme dell’horror moderno. Il volume di Simone Venturini – che inaugura nelle «Virgole» una serie dedicata al cinema italiano in collaborazione con il Centro sperimentale di cinematografia-Cineteca nazionale – propone uno studio d’insieme sull’orrore nel cinema italiano, dal periodo del muto al «gotico all’italiana», fino ai nuovi orrori post-’68. L’ampio saggio introduttivo è seguito dall’analisi di sette film (Rapsodia satanica, 1917; Malombra, 1942; I vampiri, 1957; Contronatura, 1969; Ecologia del delitto – Reazione a catena, 1971-72; Suspiria, 1977; Zombi 2, 1979).
Redazione, Film TV, 08/03/2015
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