«L’attacco del Quarto concerto in tre secoli non ha ancora perduto la magia della sua sorpresa: il sipario si è alzato prima del tempo? il solista era ancora lì al pianoforte, a provare un accordo prima che entrasse il pubblico? Nessun concerto era mai incominciato così».
I Concerti di Beethoven occupano nella carriera creativa del compositore un periodo breve ma segnato da profondi cambiamenti: fra i primi due concerti per pianoforte e l’ultimo passa appena una decina d’anni, ma sembrano opere di due generazioni diverse. Tra i due estremi, la rivoluzione: un nuovo modo di concepire la forma concerto, quel particolare dialogo che si instaura tra un solista e l’orchestra, quel confronto tecnico, spirituale e anche «fisico», che con Beethoven acquista una ricchezza espressiva prima sconosciuta. È proprio al concerto – in particolare a quello per pianoforte – che Beethoven fin dall’inizio del suo percorso affida sé stesso: è questa la forma musicale con cui si presenta, la carta d’identità con cui irrompe sulla scena del tempo. Il «pianista» ai primi dell’Ottocento è anche compositore, e Beethoven comincia una carriera da «virtuoso» itinerante, portando i suoi Concerti in tournée, da Berlino a Praga. A poco a poco, però, sul pianista prende il sopravvento il compositore: balza fuori dai panni troppo stretti dell’esecutore di successo e scombina il mondo della musica. Nei Concerti – di cui Giorgio Pestelli ricostruisce la storia e la struttura compositiva – si trovano in uno straordinario compendio tutti gli aspetti della creatività di Beethoven: l’influenza delle forme settecentesche e di Mozart; poi l’affermazione di una personalità drammatica e conflittuale (dove non manca il contraccolpo umano dei primi segni della sordità); quindi la conquista di spazi espressivi nuovi negli anni 1805-1806, conseguenti all’esperienza della sinfonia Eroica; infine la conclusione trionfale con il Quinto concerto (1809) in cui sinfonismo e prestanza solistica raggiungono una sintesi insuperabile. Nel concerto per pianoforte e orchestra, scrive Pestelli, se Mozart aveva dovuto fare tutto da solo, non avendo di fronte nessun vero modello, Beethoven «si trova davanti la serie mirabile dei Concerti di Mozart, modelli compiuti e perfetti, e gli tocca l’impresa di rifare in un modo di sua invenzione quello che Mozart aveva fatto, e quindi partire con cautela, da un gradino più basso per prendere lo slancio e raggiungere Mozart per vie personali, e alla fine trovarsi in un mondo sconosciuto, quello dell’era romantica che spunta dietro l’età classica: i cinque Concerti per pianoforte, il Triplo concerto e l’unico Concerto per violino sono le stazioni di questo percorso; il tempo è breve, poco più di un decennio, ma la profondità del cambiamento nelle forme e nella sensibilità dell’animo umano è immensa».
Giorgio Pestelli
Giorgio Pestelli è professore emerito dell’Università di Torino dove ha insegnato Storia della musica. Critico musicale della «Stampa», è stato direttore artistico dell’Orchestra e Coro della Rai di Torino. Fra le sue pubblicazioni: L’età di Mozart e Beethoven (Edt, 1979); Canti del destino. Studi su Brahms (Einaudi, 2000); Gli immortali (Einaudi, 2004); per i tipi della Donzelli, Il genio di Beethoven. Viaggio attraverso le nove Sinfonie (2016; nuova ed. 2020, con un capitolo sulle Ouvertures), L’anello di Wagner (2018).
Daniela Goldin Folena, L'Indice, 01/01/2021
UN CARATTERE RIVOLUZIONARIO
Alessandro Macchia, Alias - Il Manifesto, 20/12/2020
IN CONCLUSIONE DELL'ANNO BEETHOVEN, LIBRI E INCISIONI
Paolo Gallarati, La Stampa, 15/12/2020
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Edvige Vitaliano, Quotidiano del Sud -, 13/12/2020
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